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L’Italia che frana
Urge un piano sulla stabilità del suolo
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10/03/2013

L'Italia che si sgretola sotto ogni pioggia, l'Italia che frana, l'Italia delle alluvioni e dei fiumi di fango. Un territorio che si ribella alla natura, le radici degli alberi che non ci sono più a monte per frenare la corsa del dissesto, campi abbandonati. Una fotografia che non muta. Quello che è importante è tenere la guardia sempre alta. Non dimenticare. E questo numero di Eco-news vuole alzare il tiro su un'emergenza che coinvolge oltre cinque milioni di italiani e l'82% dei comuni (6.500 sugli 8.000 totali). Lo Stivale sottoposto a questa pressione è del 9,8% della superficie nazionale. Per anni gli allarmi sono stati regolari ma, soprattutto e purtroppo, tutti successivi a tragedie come le ultime, quelle di Genova e delle Cinque Terre in Liguria e nelle zone dell'alta Toscana. Ora qualcosa sembra si stia introducendo come novità sul tema. Si sciorinano i numeri e si mette in evidenza quanto costa all'Italia in termini di vite umane e di danni ma, questa volta, si va un po' avanti, rispetto ai semplici sos del passato: l'Italia si è avviata ad avere un piano sulla sicurezza del suolo. Lo ha annunciato a più riprese il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, già quasi dall'inizio del suo mandato. Poi questo piano si è concretizzato tanto da divenire uno strumento utilizzabile dal futuro Governo. L'annuncio del piano è avvenuto alla Conferenza sul Clima a Doha, lo scorso dicembre. Un percorso che ha portato al risultato, di cui l'Ansa si occupa da anni registrando non solo i disastri ma anche la pianificazione. Un capitolo che raramente riesce a emergere sui grandi canali di informazione nazionali. È proprio invece la pianificazione che meriterebbe un articolo a settimana. Un investimento in termini di nozioni che potrebbe portare a creare quella coscienza della prevenzione sempre invocata nei day-after delle tragedie per far diventare finalmente realtà gli appelli non solo del ministro ma anche della Protezione Civile, dei geologi e delle associazioni ambientaliste come Legambiene. Proprio l'organizzazione del cigno ha messo in evidenza di recente che l'Italia negli ultimi tre anni (2009-2012) ha speso oltre un milione di euro al giorno, per un totale di circa 1 miliardo ma i danni contabilizzati sono il triplo delle risorse stanziate. Mentre il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Gian Vito Graziano, ha puntato il dito sul fatto che il nostro Paese non è riuscito a spendere 4 miliardi di euro destinati alla prevenzione del rischio idrogeologico dal 1988 ad oggi. E se da una parte la politica sembra "distratta", dall'altra (a dirlo è stato il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli) dipende anche dalla "distrazione" dei cittadini sul tema. In un intervento a fine gennaio in Abruzzo, a Chieti, a un convegno proprio sul rischio idrogeologico organizzato dai geologi, Gabrielli ha spiegato il suo concetto affidando proprio all'Ansa il suo pensiero: "I temi della prevenzione - ha detto - non fondano nell'opinione pubblica, quindi i politici, che vanno alla ricerca del consenso, li pongono nella parte bassa delle loro agende. Una popolazione più consapevole sarà anche più esigente nei confronti dei politici". A fare il punto sulla situazione attuale della fragilità del Belpaese, invece, la Conferenza nazionale sul dissesto del suolo organizzata a Roma ai primi di febbraio. Da qui è emersa ancora una volta la mappa di un allarme rosso. In Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta, e provincia di Trento, il 100% dei comuni è a rischio nelle Marche e in Liguria il 99% nel Lazio e in Toscana il 98%. Quindi il piano di Clini che richiede uno sforzo da 40 miliardi di euro: "<em>Credo che in 15 anni con 2,5 miliardi all'anno si possa raggiungere l'obiettivo della messa in sicurezza del territorio", ha riferito. Il principio base, innovativo per l'Italia: no a case e imprese in zone alto rischio idrogeologico. Infine un aspetto sicuramente non trascurabile messo in massima evidenza da Coldiretti: la terra frana perché si sono dimezzati gli agricoltori nelle aree marginali negli ultimi 30 anni, periodo in cui sono stati abbandonati 3 milioni di ettari di terreno. Forse il nuovo parlamento avrà a disposizione un'opportunità diversa dal passato. 

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