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Austerità e tagli alla green economy
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21/12/2011

Lo scorso primo ottobre a Panama sono state riaperte le negoziazioni tra gli stati membri dell'Onu per preparare il meeting di Durban sui cambiamenti climatici fissato per dicembre in Sud Africa. L'incontro costituisce l'ennesima ultima chance per la comunità internazionale di estendere il protocollo di Kyoto e cancellare il fiasco registrato nel 2009 a Copenaghen. A ben due anni da quella data però, il clima politico mondiale non sembra essere diventato più clemente nei confronti dello stato di salute del nostro pianeta. Al contrario, la crisi economica che attanaglia le maggiori economie occidentali spinge il tema ecologico ai margini dell'agenda politica, facendolo diventare un argomento tabù anche per le prossime campagne elettorali previste nei maggiori paesi europei. Se all'inizio della crisi molti analisti erano convinti che la Green economy sarebbe stata il volano della ripresa economica, a tre anni dall'esplosione della bolla speculativa dei crediti subprime americani, i governi europei sono stati costretti a fare i conti con debiti pubblici vertiginosi e ipotesi di polverizzazione dell'Euro che ha costretto tutti sul sentiero dell'austerità. Lotta agli sprechi, tagli all'impiego pubblico, riduzione dei finanziamenti statali.Se in teoria la formula dovrebbe funzionare, in pratica la scure del risanamento dei conti si abbatte anche e soprattutto sulla Green economy esulle energie rinnovabili.
Anche la Germania, il più grande mercato del fotovoltaico al mondo, ha deciso di applicare delle modifiche alla sua più che decennale politica verde, cominciata nel 2000 con l'adozione del Renewable Energy Source Act, un sistema di feed-in tarif grazie al quale i produttori di energia pulita vendevano al gestore nazionale a un prezzo fisso per un periodo successivo di 20 anni. La Camera bassa del Parlamento tedesco ha, infatti, votato nei mesi scorsi un taglio del 15% sul finanziamento pubblico al settore. Ufficialmente per rallentarne la crescita giudicata "troppo veloce". Non la pensa allo stesso modo la German Solar Power Association (Bsw), lobby del settore solare, secondo cui il taglio (equivalente a 13 miliardi di euro) devasterebbe il settore mettendo in pericolo 130,000 posti di lavoro. Lo scorso luglio, inoltre, voci di corridoio del Budestag facevano prevedere altri tagli per il settore eolico dell'ordine dell'1 e del 2% entro il 2013. Nel resto d'Europa la situazione non cambia. In Francia, ad esempio, il settore ambientale dovrà partecipare attivamente all'obiettivo di risparmiare 11 miliardi di euro di spese statali. In che modo? Attraverso 3 dispositivi che riguardano la riduzione dei finanziamenti sugli investimenti forestali, sugliacquisti di immobili a basso consumo energetico e sulle attrezzature a sostegno dello sviluppo sostenibile e risparmio energetico. Allo stesso tempo il Governo Sarkozy ha già disposto nella finanziaria del 2012 un progressivo taglio ai finanziamenti per il solare, combinata con una diminuzione degli incentivi alle famiglie che scelgono di investirvi, secondo il reddito. Al di là della Manica, la situazione è ancora più critica. Il Dipartimento per l'Ambiente e il Cambiamento Climatico (Decc) ha, infatti, reso noto che il Governo Cameron intende tagliare i finanziamenti per le energie rinnovabili e per tecnologie eco-compatibili di ben 34 milioni di sterline, decurtabili in varia maniera dal budget per l'efficienza energetica e sui contributi per bioenergie, impianti geotermici e installazioni eoliche offshore. Sulla stessa lunghezza d'onda anche Olanda e Danimarca, con un'unica differenza: Copenaghen taglierà sull'eolico a favore del solare. L'attuale crisi economica rischia di diventare suo malgrado un banco di prova per la Green economy. Saremo capaci di continuare a produrre energia pulita e a diminuire la produzione di CO2 senza aiuti statali? I paesi europei riusciranno a tener fede agli obiettivi fissati per il 2020? A tal proposito, nell'ottobre dello scorso anno l'Agenzia europea dell'ambiente annunciava che il calo delle emissioni di CO2 registrato tra il 2008 e il 2009 a causa della crisi economica mondiale aveva avvicinato l'Unione al raggiungimento dei suoi obiettivi ambientali. Mancata crescita uguale mancata produzione di carbonio. Dunque un colpo al cerchio e uno alla botte. Ciò che è certo è che l'ambiente deve ritornare prepotentemente protagonista della scena politica internazionale. Di questo sono convinti anche gli eurodeputati che, lo scorso 29 settembre, hanno firmato una risoluzione per rilanciare una nuova politica globale per uno sviluppo sostenibile in vista del summit Rio+20, previsto per il prossimo giugno in Brasile. Secondo Karl-Heinz Florenz, deputato tedesco e co-autore della risoluzione, è necessario trovare una linea comune dell'Unione europea prima della fine di novembre su alcune proposte chiave come il taglio delle sovvenzioni a progetti non eco-sostenibili, l'introduzione di un indicatore che misuri la crescita e la ricchezza di un paese prendendo in considerazione i fattori ambientali e sociali, oltre che di una tassa sulle transazioni finanziarie che permetta di proteggere la biodiversità nei paesi in via di sviluppo. 

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