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Aree industriali, il successo sta nella rigenerazione
Spagna, Germania, Inghilterra, Bulgaria: le nuove sfide per lo sviluppo territoriale
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25/05/2013

Alla fine degli anni '80, Bilbao si presentava come una città in profonda crisi economica, sociale ed ambientale. L'industria pesante - officine metallurgiche e cantieri navali - per lungo tempo motore di sviluppo dell'area, spostava le produzioni nei paesi asiatici. Nel 1991 le autorità basche decisero di affrontare il declino industriale della città con una scelta in controtendenza e coraggiosa: risollevare le sorti di una zona fino ad allora profondamente industriale con la cultura.
Il risultato è noto. Nell'ottobre del 1997, apre il Guggenheim Musem. L'opera iconica di Frank Gehry, edificata sul fiume Nérvion, prende il posto dei vecchi moli e attira in soli 3 mesi 100.000 visitatori, che saranno quasi un milione nel 2012. Si è calcolato che il Museo ha prodotto, nel solo triennio 1998-2000, un indotto di oltre 635 milioni di dollari. Il Guggenheim, in quanto idea di una certa architettura come attrazione, è stato inteso da molti come una "ricetta" utilizzabile per ogni progetto di sviluppo urbano.
Tuttavia, il successo del museo - e della riqualificazione dell'area - è da assegnare al suo essere fortemente integrato alla città e alla sua capacità di creare un indotto turistico, culturale ed economico, indotto che non è stato replicato, ad esempio, dal progetto del MAXXI di Roma, seppur nato con simili intenti.
Analizzando la storia urbanistica e industriale delle città europee non si può fare a meno di notare come il successo o l'insuccesso delle iniziative di riqualificazione sia sempre riconducibile alla lungimiranza degli amministratori o degli industriali stessi. Come non prendere a modello il progetto tedesco di riqualificazione del bacino industriale della Ruhur, dove interi complessi siderurgici o minerari sono stati conservati e riutilizzati in una nuova ottica di spazio pubblico sostenibile. In particolare, il progetto ha previsto azioni di rinnovo e recupero degli antichi complessi abitativi nati alla fine dell'Ottocento per ospitare i tanti minatori che lavoravano nel settore estrattivo e che sono stati trasformati senza alterare la loro fisionomia architettonica tradizionale.
Al recupero si è anche affiancata la costruzione ex novo di insediamenti di città-giardino, seguendo regole di bio architettura. Potremmo ancora citare come esempi virtuosi l'opera di riqualificazione dei vecchi docks della Città di Londra, grazie alla quale la Bankside si è trasformata da zona di spaccio e degrado a banchina delle arti e dello spettacolo, dove svettano la magnifica Tate Modern e il vecchio teatro shakespeariano. Spostandoci ad Est, non può passare inosservato il progetto annunciato nel 2010 dell'ex area industriale Bozhurishte, nei pressi di Sofia, Bulgaria, divenuto parco per tecnologie d'avanguardia e finanziato in parte da fondi cinesi. Il progetto è interessante soprattutto dal punto di vista del fundraising: se, infatti, sia nel caso di Bilbao che in quello della Ruhur, gli Stati o le amministrazioni locali sono stati i primi finanziatori dei progetti di recupero, in tempi di crisi e debiti pubblici esplosivi una via alternativa per avviare grandi progetti di riconversione e recupero di centri industriali sembra essere quello dell'investimento estero.
Offrire, cioè, terreni industriali alle aziende estere in cambio dei fondi per il progetto. Nel caso bulgaro, la joint venture è stata sottoscritta con la provincia cinese di Zhejiang, a cui saranno assegnate una parte dell'ex zona industriale per ospitare aziende manifatturiere. Gli esempi virtuosi, però, si accostano ancora oggi esperienze di degrado e inquinamento, di mancato recupero e rinnovamento, di cui il caso italiano dell'Ilva di Taranto è una triste rappresentazione.
Le logiche del massimo profitto e dello sfruttamento di territori e lavoratori, costretti per ragioni economiche a vivere in condizioni insalubri, sembrerebbero temi più adatti ai tempi della prima rivoluzione industriale che agli Anni 2000. O ancora, basti pensare al caso dell'ArcerolMittal, multinazionale dell'acciaio anglo-belga, con sedi in decine di Paesi, tra cui Francia e Bosnia Erzegovina. L'azienda è giunta alla ribalta delle cronache per le varie condanne di inquinamento collezionate sia presso le corti francesi che quelle bosniache e per aver contestualmente paventato la chiusura degli stabilimenti in questione, costringendo i lavoratori a scegliere tra il lavoro e la salute.
Il recupero delle aree industriali dismesse sembra essere dunque una delle maggiori sfide in materia di sviluppo territoriale per risparmiare terreno e utilizzarlo meglio. L'ulteriore sfida sarebbe però quella di rendere le aree riconvertite, a loro volta, facilmente riconvertibili.
Ed è quello che si è cercato di fare con il quartiere nei dintorni della stazione di Neuchâtel in Svizzera. La zona, dove fino a metà degli anni '90 vi erano soprattutto depositi delle ferrovie e edifici industriali sotto sfruttati, è stata progressivamente trasformata in un quartiere misto di abitazioni e uffici. Gli edifici sono stati costruiti seguendo regole ferree di sostenibilità e flessibilità. Ad esempio, gli uffici possono essere trasformati in una scuola senza dover effettuare dei lavori eccessivi. In sintesi, costruire una città che si possa rigenerare e non come accaduto finora una città dove è necessario fare tabula rasa prima di poterla ricostruire di nuovo.

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