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Innovazione, in Trentino dagli scarti organici nasce la torba sostenibile e rinnovabile
La start up Htc Bio Innovation, incubata a Progetto Manifattura, ha messo a punto un processo per condensare in 3 ore quello che la natura fa in migliaia di anni. GreenPeat può sostituire il carbone o essere usato come ammendante agricolo
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01/04/2016

Il primo segreto di Htc Bio Innovation, la start up trentina incubata a Progetto Manifattura già vincitrice di importanti premi, è la velocità: “Quello che la natura fa in migliaia di anni, noi lo facciamo in poche ore”, dice il co-fondatore Daniele Basso, 33 anni, ricercatore all’università di Trento di giorno, startupper di notte. Il secondo segreto è la versatilità: perché la torba verde prodotta usando gli scarti organici con il processo messo a punto da Basso può essere utilizzata sia come ammendante agricolo, sia per produrre energia al posto del carbon fossile. La tecnologia può adattarsi alle necessità di industrie di diverse dimensioni o di municipalizzate, controllando anche il tipo di residui utilizzati in base all’effetto che si vuole ottenere.

“Sfruttiamo le caratteristiche dell’acqua calda pressurizzata per trasformare gli scarti organici umidi in un materiale utilizzabile sia per scopi energetici o come ammendante. I tempi di processo sono molto inferiori rispetto ai comuni trattamenti, come il compostaggio e la digestione anaerobica, che impiegano rispettivamente una media di 30 e 20 giorni, contro le nostre 3 ore, spiega Basso. “Il risultato è un materiale ecologico, rinnovabile e sostenibile. Lo chiamiamo GreenPeat: municipalizzate e piccole aziende alimentari possono utilizzarlo per produrre energia, ad esempio con un impianto di cogenerazione: in questo modo, invece di pagare per smaltire i propri scarti, ne traggono un vantaggio diretto. Le stesse centrali a carbone fossile potrebbero passare all'utilizzo di GreenPeat a costo zero, senza bisogno di riconvertire i loro impianti e soprattutto con notevoli benefici ambientali”. Per le grandi aziende florovivaistiche o industrie agroalimentari, “la nostra tecnologia consente di produrre un ammendante partendo da residui vegetali in grado di sostituire la torba fossile, con vantaggi significativi. Grazie alla sua alta capacità di trattenere acqua e nutrienti, infatti, GreenPeat permette di ridurre le irrigazioni e l’utilizzo di fertilizzanti chimici. Inoltre con il nostro processo si possono controllare le materie prime in entrata, e dunque personalizzare l’ammendante in base alle colture, per esempio”.

Daniele Basso ha approfondito il processo della “carbonizzazione idrotermica”, studiato dal 1913, per la sua tesi di dottorato, con l’idea però di applicarlo il concreto. “Portare una ricerca fuori dal mondo accademico è a volte difficile. Nell’ambiente universitario non sempre c’è una mentalità imprenditoriale. Io ho avuto la fortuna di avere un amico imprenditore, Renato Pavanetto. Con lui, il mio professore di dottorato Luca Fiori e il socio industriale Carretta srl nel 2015 ho ideato la start up Htc Bio Innovation. A noi si è aggiunta da poco anche Michela Lucian, che alla nostra tecnologia ha dedicato la sua tesi di laurea”.

La start up sta lavorando al momento alla progettazione di quattro impianti, tutti nel Nord Italia: “Uno per un’industria alimentare, due per municipalizzate e un quarto per una società del settore energia. Probabilmente tra qualche mese inizierà la costruzione del primo”. Intanto il team cerca nuovi finanziatori – “ci servirebbe qualche centinaia di migliaia di euro per la fase iniziale” – e colleziona riconoscimenti, tra i quali i due premi nella finale italiana della “Global Social Venture Competition”, concorso internazionale promosso dalla School of Business di Berkeley per favorire lo sviluppo di nuove imprese a forte rilevanza sociale o ambientale. Daniele Basso però guarda già al futuro, per realizzare un sogno ancora nel cassetto: mettere la sua tecnologia al servizio della lotta contro la desertificazione. Unita a terreni aridi, GreenPeat riesce a migliorare la produttività e la fertilità del suolo. Stiamo pertanto studiando una soluzione vantaggiosa dal punto di vista economico per i Paesi in via di sviluppo”.

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