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Aziende più attente alla verità anche merito della Rete
L’analisi di Carlo Alberto Pratesi, ordinario di Economia università Roma Tre
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27/10/2012

Carlo Alberto Pratesi ha un sito Internet, dove sono pubblicati tutti i suoi scritti. Nato a Roma, si è laureato in economia alla Luiss nel 1985. Oggi è professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all'università Roma Tre e titolare dei corsi "Marketing per le imprese e le istituzioni sostenibili" e "Corporate communication". Dal 2012 fa parte del consiglio direttivo della Sim (Società italiana marketing) e nel 2010 con Paolo Merialdo e Agusto Coppola ha fondato InnovAction Lab: un progetto interfacoltà (e dal 2011 interateneo) con l'obiettivo di formare giovani "innov-attori", pronti a presentare sul mercato le loro idee di business. Fuori dei banchi accademici è iscritto all'ordine dei giornalisti dal 1999 e semina le sue conoscenze in materia come consulente scientifico del Barilla Center for Food and Nutrition, del Nokia University Program e di Ina Assitalia per le attività di comunicazione e corporate branding. Nel 1989 ha partecipato all'ideazione del Premio Philip Morris per il Marketing (oggi rinominato Premio Marketing Sim) e da allora fa parte del suo comitato scientifico. La sua passione per le tematiche ambientali e sociali la deve invece ai suoi genitori, Fulcro e Fabrizia, mentre oggi con la sua famiglia, formata da moglie e tre figli, ama viaggiare il mondo e scoprirne le sue bellezze. Eco-news ha voluto intervistarlo per approfondire il suo pensiero sul fenomeno del greenwashing, da lui già illustrato in un saggio pubblicato nel suo ricchissimo sito internet.
Come si può meglio definire il greenwashing?
Il greenwashing rappresenta attività di marketing e comunicazione orientate a costruire una reputazione responsabile (non necessariamente verde) senza incidere sulle proprie attività aziendali. Le aziende prima inquinano nei Paesi in via di sviluppo dove operano e poi fanno un'azione importante nel campo no profit scientifico/medico facendosi, in seguito, pubblicità con queste campagne. Fanno azioni di beneficenza per sviare l'attenzione dalle proprie attività tutt'altro che etiche e responsabili. Facciamo un passo indietro. Oggi consideriamo negativo e da condannare ciò che in passato era accettato. È un giudizio morale nato quando il consumatore ha richiesto alle aziende "responsabilità sociali": in questo modo è scattato il greenwashing. Prima alle aziende si chiedeva solo di pensare al profitto e far girare bene il business, oggi si chiede di investire in un certo modo e di comunicarlo in maniera efficace. Chi è accusato di "lavaggioverde" fa solo la seconda parte e quindi si occupa di comunicare un'attività di facciata e basta.
Cosa l'ha spinta a interessarsi a questo fenomeno di marketing?
Ho sempre studiato e lavorato come consulente di marketing e comunicazione, ma è per un mio interesse personale che mi sono occupato di tematiche legate all'ambiente. I punti di confluenza sono due: uno è il green marketing, una cosa sana, e l'altro il greenwashing - una scorciatoia per apparire sani. Io mi sono interessato a questo fenomeno quando mi sono chiesto: quando è che si può definire un'azienda responsabile? Si può esserlo solo quando ci si impegna fino a fondo a migliorare la propria performance.
Mi può raccontare qualche aneddoto che a oggi è rimasto nella memoria di chi segue con attenzione il greenwashing e cerca di combatterlo?
L'aneddoto che più mi ha colpito è avvenuto durante un convegno organizzato dalla mia università due anni fa in occasione del venticinquennale dell'incidente di Bhopal, evento che commemorava questo terribile disastro provocato da un'azienda chimica americana che ha contaminato le falde acquifere e ha causato enormi danni di salute alla popolazione locale ancora oggi fortemente presenti. Oltre alla presenza di Greenpeace e Amnesty International vi era il direttore della clinica di Bhopal, che si è trovato in forte disaccordo con quanto da me esposto sul concetto di responsabilità sociale, affermando che le aziende di oggi sono rimaste le stesse di una volta, ma hanno semplicemente investito di più nella comunicazione e negli avvocati che curano e difendono la loro buona reputazione.
Chi è che principalmente combatte il greenwashing e che mezzi usa?
Oggi ci sono diversi siti su internet che danno delle linee guida per sapere distinguere tra l'erba buona da quella cattiva. Io considero corretto il comportamento di un'azienda quando si impegna a migliorare l'impatto sociale negativo che provoca nei suoi dintorni. Il parametro è quindi relativo. Il confronto va fatto all'interno dello stesso business. Prendiamo l'esempio dell'industria automobilistica: le macchine inquinano tutte, l'azienda responsabile è quella che più tira avanti il proprio impegno sociale nel ridurre l'impatto che crea rispetto ai suoi competitor.
Il consumatore medio come fa a informarsi per non cascare nella rete di finte aziende eco?
Non è ancora facile informarsi bene. Il consumatore che non si ferma ad ascoltare solo la comunicazione aziendale ma vuole capire se si tratta di greenwashing o meno consulta il web e può trovare diversi siti di organizzazioni terze che elencano i casi fino ad oggi emersi. Attenzione però, perché anche qui vi possono essere siti legati da conflitti d'interesse con le aziende stesse che traggono in inganno. Di sicuro Greenpeace è in Italia una delle poche organizzazioni terze a non essere legata ad alcun compenso da parte del mondo dell'industria e quindi è considerata una fonte attendibile, dove consultare i propri dubbi.
Chi controlla e punisce in Italia le aziende che cercano di vendersi come aziende verdi?
L'Autorità Garante della Concorrenza e il Garante della Pubblicità si occupano di controllare la veridicità delle comunicazioni aziendali. Anche i certificatori finanziari svolgono un buon ruolo di controllo, anche se spesso sbagliano, come ad esempio è stato il caso di chi ha certificato erroneamente la Lehman Brothers una sola settimana prima del suo crollo. Secondo Lei oggi vi sono abbastanza leggi o casi del passato che scoraggiano un marchio a colorarsi di una campagna green che non gli spetta o da consumatore dobbiamo rimanere con gli occhi ben aperti?
Assolutamente, ma non tanto per via delle leggi ma grazie alla comunicazione online. Credo che oggi un'azienda accusata di greenwashingnon lo fa con intento, ma piuttosto perché ha mal interpretato o sottovalutato una normativa. In meno di un giorno finisce già sugli schermi dei computer di tutti e questo la danneggia molto. Oggi è talmente facile finire in cattiva luce e rovinarsi la propria reputazione che l'attenzione alla responsabilità sociale è cresciuta molto. Questo scoraggia parecchio. 

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