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L'albergo diffuso, una forma di ospitalità tutta italiana
A illustrare i dettagli Giancarlo Dall’Ara, esperto di turismo
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01/06/2012

L'albergo diffuso è un tipo di ospitalità turistica di idea tutta italiana. Nato nel Friuli Venezia Giulia si è espanso in tutta Italia. A illustrare i dettagli è Giancarlo Dall'Ara, docente di marketing del turismo presso il Cst di Assisi, che ha messo a punto il modello di ospitalità diffusa e oggi presiede l'Associazione nazionale degli Alberghi Diffusi.
L'albergo diffuso: c'è ma non si vede.Come nasce questa idea?
L'albergo diffuso nasce negli anni '80 nel Friuli Venezia Giulia ed esattamente in Carnia. Dopo il terremoto del 1976 molte case, pur ristrutturate, non erano abitate. Io, che mi ero sempre occupato di alberghi a Rimini e da pochi mesi avevo deciso di intraprendere l'attività di consulente di marketing nel turismo, venni chiamato a Comeglians per un corso e per rispondere alle richieste dei turisti che chiedevano qualcosa di diverso rispetto ai soliti alberghi e pensioni. Nacque così l'idea dell'"albergo che non si vede" che da allora è divenuto una realtà riconosciuta anche a livello legislativo: in ben sedici regioni esiste una normativa specifica che regola l'apertura e la gestione di AD. Il modello normato base è grosso modo lo stesso in tutte le Regioni: gestione imprenditoriale e unitaria di case che diventano camere di un albergo che non si costruisce. Le case devono essere disabitate, vicine tra loro, autentiche e il borgo deve essere abitato. Quest'anno infine abbiamo riconosciuto ufficialmente il primo albergo diffuso all'estero, in Spagna, a Ledesma, a pochi chilometri da Salamanca.
Qual è la differenza tra l'albergo diffuso e diverse forme come l'hotel e il bed &amp breakfast?
A differenza del B&B, abitato anche dal titolare, l'AD è composto da case/camere disabitate. I B&B - che nascono all'estero come suggerisce anche il nome - sono una forma di ospitalità in casa, integratrice di reddito, mentre un AD - che è un modello italiano - costituisce un'attività imprenditoriale. I B&B, di norma, son composti al massimo da tre o quattro camere che costituiscono una forma di ospitalità "puntiforme", situata cioè in un solo immobile. Gli AD invece - in quanto alberghi - hanno almeno sette camere e sono, come dice il nome, una forma di ospitalità diffusa. Anche le differenze con un albergo tradizionale sono molte. L'Albergo Diffuso è rigorosamente frutto di un recupero di immobili preesistenti e ha uno sviluppo orizzontale perché occorrono almeno due immobili separati tra di loro. L'albergo tradizionale ha uno sviluppo verticale (un piano di camere sopra l'altro). Dal punto di vista strutturale un AD, a differenza di un hotel, ha due hall: quella tradizionale, interna, e un'esterna, spesso un vicolo o una piazzetta dove ci si può ritrovare con il vicinato e la comunità locale. Poi vi sono differenze nella gestione. Quella alberghiera è spesso standard, molto professionale. Per un albergo diffuso invece la gestione deve avere un sapore locale e non può essere standard.
In un AD non si vendono camere, ma lo stile di vita di un luogo, il turista cioè può sentirsi residente "temporaneo". Esistono luoghi migliori di altri per ospitare un albergo diffuso?
L'albergo diffuso nasce pensando ai borghi italiani e ai piccoli centri storici a rischio di spopolamento. Grazie all'AD si genera un movimento turistico quantitativamente non di grandi dimensioni, composto da persone motivate, sensibili all'ambiente, che riesce a che valorizzare il territorio senza però violentarlo. L'AD, per sua natura, non ha alcun impatto negativo perché si ricava da edifici già esistenti, crea occupazione e promuove uno stile di vita sostenibile. Non si possono fare AD nei grandi centri abitati, l'ospite non si sentirebbe in un albergo, ma in un appartamento. In città non è possibile realizzare la seconda hall dell'AD, quella del "vicinato" della piazzetta.
Quali sono le regole base da sapere per aprire un AD?
Per promuovere il turismo nei borghi e negli AD non sono necessari investimenti particolari: si chiede semplicemente di puntare sui servizi ai residenti, perché gli ospiti degli AD sono, e vogliono essere considerati, a tutti gli effetti "residenti temporanei". Immaginiamo quindi un proprietario di una casa antica in un piccolo paese che vuole staccare con la vita della grande città e torna nella casa dei nonni. Scopre che ristrutturarla e viverci richiede un grosso investimento e pensa al turismo come a una forma di reddito. Ha di fronte a sé due possibilità: realizzare un B&B oppure può aprire un AD. Per fare un AD non deve costruire niente di nuovo, deve solo trovare altre case vicine alla sua da prendere in gestione, ottenere un minimo di camere che garantiscano la fattibilità economica al progetto e gestire il tutto come un albergo (non come una rete di case), cioè prevedere spazi comuni, punto ristoro, accoglienza e soprattutto i servizi alberghieri per gli ospiti (dalla pulizia quotidiana delle camere all'assistenza). Lo stesso percorso potrebbe essere fatto da un gruppo di proprietari di case, o da un'impresa giovanile che prende le abitazioni in affitto e le gestisce unitariamente e imprenditorialmente. Vorrei porre in evidenza che questo tipo di offerta, in controtendenza rispetto alla crisi del turismo, non dà cenni di contrazione come dimostrano i numeri. Un anno fa gli alberghi diffusi riconosciuti dalla nostra associazione nazionale erano 47 e oggi sono dieci in più, su un totale di un centinaio di strutture attive in Italia.
Esiste una classificazione come per le stelle negli alberghi?
Ogni regione può interpretare i modelli ospitali e attribuire forme di classificazione diverse. Sotto questo punto di vista, nel caso degli AD c'è molta confusione, nel Lazio si attribuiscono stelle, come pure in Sardegna, ma non è così dappertutto. L'Ass. nazionale vorrebbe che per gli AD si adottasse una classificazione fatta su misura date le peculiarità di questo modello.

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